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C'era una volta.. il CINE TEATRO ALCIONE di Genova
Seconda parte


Il Cinema Teatro Alcione di Genova è stato negli anni 70 il tempio della musica dal vivo per i liguri e non solo, diventando tra il 1972 al 1974 è diventato una tappa fissa per le tournèe italiane di gruppi e cantanti stranieri e nostrani. Nel precendente articolo >>>> Alcione 1, ho raccontato alcuni concerti visti nel 1972.
Con questa seconda parte prosegue il racconto dei concerti a cui ho avuto la fortuna di assistere in quel teatro nel corso della mia adolescenza. I giudizi riportati, anche se a volte un po’ tranchant, cercano di essere fedeli a quanto provavo in quel momento.



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Acqua Fragile e Gentle Giant

Gentle_giant.bmp2/1/1973 – Gentle Giant
Stavano avendo già un buon successo in Italia e il tour aveva lo scopo di promuovere il loro quarto album ‘Octopus’. Il loro sound dal vivo era paragonabile a quello delle registrazioni in studio, merito della loro perfetta tecnica strumentale e vocale e dell’affiatamento fra i membri della band. Ho memorie un po’ confuse, ma ricordo che avevano proposto alcune delle loro hit, fra cui ‘Nothing at all’  e ‘Funny ways’ dal loro primo album. Ricordo anche un momento magico in cui tutti i membri suonavano il flauto dolce.
Supporter: Acqua Fragile
Di loro ricordo un sound cristallino e fresco, ma all’epoca non li conoscevo per cui non saprei dire di più. Del concerto ricordo però un episodio molto divertente, che ho condiviso qualche anno fa con il bassista Franz Dondi al quale ero stato presentato durante una serata con amici comuni, nel suo locale di Parma ‘La corriera stravagante’. E’ successo che, durante l’esecuzione di una canzone, dal pubblico si leva una voce stridula che urla: ‘Coglioni!’ che rovina decisamente l’atmosfera acustica del brano. Il cantante Bernardo Lanzetti, senza scomporsi, risponde: ‘Coglione sarai tu!”, inserendo perfettamente la frase nei versi del pezzo che stava eseguendo, fra l’ilarità generale di tutti, membri della band compresi. La cosa è finita qui, come se niente fosse accaduto. A fine concerto, ho poi scoperto che l’invettiva lanciata dallo spettatore (un ragazzino tredicenne che fra l’altro avevo avuto modo di conoscere fuori dal teatro prima del concerto) non era rivolta alla band ma ad alcuni tizi che, seduti dietro di lui, lo stavano in quel momento bullizzando. Il poveretto era molto dispiaciuto della figuraccia.

PFM%20bootleg%20del%20concerto.bmp9/3/1973 – Premiata Forneria Marconi
Io e il mio amico Massimo eravamo partiti prevenuti perché ci avevano fatto pagare 2000 lire per il biglietto invece delle solite 1500 degli altri concerti. Per l’epoca era già un sintomo di eccessiva commercializzazione. La formazione era ancora quella con Mauro Pagani, con il nuovo bassista Patrick Djivas, che aveva appena lasciato gli Area. Era il loro periodo americano e stava per uscire il loro terzo album ‘Photos of Ghosts’. Il concerto lo ricordo insopportabile, con le canzoni dei primi due album, che avevamo letteralmente adorato, riproposte con i testi in inglese. Un vero e proprio affronto, visto che fra l’altro eravamo in Italia! L’interpretazione dei brani ci era anche sembrata piuttosto approssimativa ed inutilmente barocca, con canti gregoriani registrati, Pagani che eseguiva Vivaldi con l’armonica a bocca e Premoli alla fisarmonica in stile liscio. Ma l’ho detto che eravamo prevenuti!
In realtà quando è poi uscito ‘Photos of ghosts’ il giudizio è stato in gran parte rivisto anche perché abbiamo scoperto che i testi in inglese li aveva scritti un certo Pete Sinfield (per i pochi che non lo conoscono, si tratta del mitico paroliere dei King Crimson).
Supporter: Ciampini e Jackson
Era un duo acustico di ispirazione westcoastiana dal sound e dalla vocalità molto elegante e piacevole. Purtroppo mai più sentiti.
Per noi, delusi dalla PFM, è stata comunque la cosa migliore della serata.

8/5/1973 – Claudio Rocchi e Franco Battiato

Claudio Rocchi e Franco Battiato, due artisti molto diversi fra di loro, direi agli antipodi, furono protagonisti nel 1973 di un improbabile tour congiunto. Da una parte, Claudio Rocchi, il cantautore che professava nelle sue canzoni il misticismo buddista, e dall’altra parte Franco Battiato, all’epoca cantautore ispirato dalla musica elettronica e dalle tematiche futuristiche. Comunque ho visto anche loro al teatro Alcione di Genova, in un caldo pomeriggio di primavera.
Nel caso di Claudio Rocchi, dire ‘L’ho visto’ è forse esagerato perché la sua permanenza sul palco si è protratta solo per pochi minuti. Dopo aver lasciato il tempo necessario agli addetti per preparare  meticolosamente la scena, disponendo candele accese a formare chissà quale simbolo indù, con cani e gatti che giravano liberamente per il palco, si è presentato Claudio Rocchi da solo con la chitarra acustica. Ovazione. Suona un primo pezzo (mi sembra di ricordare che fosse ‘L’arancia è un frutto d’acqua’ dal suo terzo album). Molto bello. Altra ovazione. Accenna gli accordi di una seconda canzone, ma improvvisamente smette e se ne va. Nello stupore (e incazzatura) generale, dopo qualche minuto, con calma, sale sul palco il Tour Manager (o chi per lui) e comunica, scusandosi, che Claudio si è sentito male e che non è più in grado di proseguire. Fischi a non finire. Anche dal sottoscritto, che era andato al concerto per vedere esclusivamente lui.
battiato.jpg Meno male (si fa per dire) che subito dopo è la volta di Battiato che si presenta sul palco truccato in stile Alice Cooper cosmico e ci inonda, fin troppo, di suoni elettronici apparentemente sconclusionati, con tanto di effetti speciali, che erano speciali solo per l’epoca: oltre ai soliti fumi e luci, ricordo degli enormi palloni che vagavano sopra la testa degli spettatori (sì, proprio SULLE nostre teste). Dei pezzi eseguiti ricordo bene ‘La convenzione’ e ‘Areknames’, brani molto trasmessi alla radio in quel periodo ed effettivamente piuttosto suggestivi. Era solo esagerato tutto il contesto, la musica a volume troppo alto e, forse volutamente, disturbante. I miei amici ed io siamo tornati a casa, la sera, con alcuni gadget, fra cui un esemplare della famosa maschera di cartone, con tanto di elastico e buchi per gli occhi, come quella presente sulla copertina di ‘Pollution’. L’ho tenuta appesa in camera per qualche tempo, ma dopo un po’ mi sono stufato … e l’ho buttata via. Non c’era ancora il culto dei memorabilia. Adesso un esemplare simile, ben tenuto, vale centinaia di euro.


peter%20hammill.jpg6/6/1973 – Peter Hammill
 VDGG si erano appena sciolti, l’anno prima, e Peter Hammill iniziò un tour da solista. Era il periodo di ‘Chameleon in the shadow of the night’ (che ascoltavo ininterrottamente) e stava per uscire ‘The silent corner and the empty stage’ (altro disco che avrei consumato).
Hammill si alternava fra chitarra acustica e pianoforte. La voce era la sua, potente e senza fronzoli,  ma la difficoltà di far capire i testi elaboratissimi ad un pubblico scarsamente anglofonizzato doveva essere per lui un vero e proprio cruccio, tant’è vero che a volte cercava di mimare il significato dei passaggi più significativi di alcune canzoni.
Ricordo perfettamente di aver ascoltato per la prima volta il capolavoro ‘The lie’, presente nell’album in uscita.
Ricordo anche, durante l’esecuzione di ‘In the end’, Peter che si ferma perché il pubblico rumoreggia troppo, invita tutti a fare silenzio e poi riprende come se niente fosse.
Un vero mito!

Supporter: Camel
Ricordo un sound molto caldo e piacevole. Nulla di più, non li conoscevo. Avrebbero avuto un discreto successo solo qualche anno dopo.


Autore : Stefano Sorrentino , 28/06/2021