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Lucio Battisti
(1943 – 1998) è stato il più popolare cantautore italiano degli anni
70. Le sue canzoni, composte in collaborazione con il paroliere
Mogol (Giulio Rapetti), sono state in gran parte enormi successi
commerciali e hanno segnato, in un modo o nell'altro, gli anni della
giovinezza dei nati negli anni 50 e 60, diventando un obbligatorio
punto di riferimento per tutti coloro che hanno abbracciato la
professione del cantautorato negli anni e decenni successivi.
A
partire dagli anni 80 fino al 1994, anno dell'uscita del suo ultimo
disco, la sua popolarità e il suo successo commerciale iniziarono a
segnare il passo, anche a causa della avvenuta rottura con Mogol,
che interruppe il leggendario sodalizio destinato ad entrare nella
storia della musica italiana.
Ma, al di là del suo immenso repertorio, diventato vero e proprio
patrimonio popolare, Battisti ha avuto il pregio di compiere spesso
scelte musicali non convenzionali per il grande pubblico italiano
dell'epoca, abituandolo all'ascolto di musica ed arrangiamenti di
ottima qualità.
Valga, come esempio, 'Non è Francesca', pezzo del 1969 che
inizia come una bella canzone d'amore (ma non usuale, trattandosi di
una storia di tradimento in cui l'uomo è, per una volta, la vittima)
con un arrangiamento beatlesiano composto da chitarra acustica e
archi, con un evidente richiamo a 'Yesterday' (d'altra parte si
narra che fra Battisti e Paul McCartney vi fosse una grande stima
reciproca). Ma il pezzo forte è la splendida coda della canzone,
che, per quasi 2 minuti, su una base di archi, vede
l'improvvisazione di basso e chitarra, su un unico accordo di La
min9, già poco consueto di per sé. Su questa base si innesta un riff
di fiati e un assolo di chitarra al contrario, tipicamente
psichedelico, una tecnica “inventata” dai Beatles.
Tanta roba per una canzone che è stata una hit nazional-popolare e
che è diventata uno dei pezzi più amati di Battisti.
Il livello notevole delle sue produzioni, soprattutto a cavallo fra
i 60 e i 70, è stato anche ottenuto grazie alla collaborazione di un
importante gruppo di musicisti, alcuni dei quali avrebbero dato
vita, a loro volta, ad alcune band anch'esse destinate alla fama (in
particolare, Premiata Forneria Marconi e Formula Tre).
Nel 1970, Battisti, che era sempre ispirato dai movimenti della
scena musicale internazionale, aveva realizzato il concept album
'Amore e non amore', ma la casa discografica, la Ricordi, vista la
natura stravagante del disco, decise di rimandarne l'uscita
sostituendolo con la raccolta 'Emozioni' che conteneva solo pezzi
già pubblicati.
Successivamente, anche a causa di questa decisione, non condivisa da
Battisti, il cantautore avrebbe abbandonato la 'Ricordi' passando
alla nuova etichetta 'Numero Uno'.
'Amore e non amore' venne poi pubblicato, sempre da Ricordi, l'anno
successivo, nel 1971. Ebbe un ottimo successo di vendite, nonostante
la natura decisamente anomala rispetto alla musica popolare
dell'epoca. E' quasi come se Battisti avesse voluto “testare” i
gusti del pubblico il quale, fidandosi ciecamente del suo idolo,
reagì positivamente.
'Amore e non amore'
si
può considerare l'album progressive di Lucio Battisti, poiché
rispecchia i vari canoni che, proprio in quegli anni, stavano
emergendo e che sarebbero diventati caratteristici del prog italiano
ed europeo.
Innanzi tutto, l'idea di un 'concept' album, inteso come disco in
cui le canzoni trattano un unico tema, tipica di molti album
dell'era eroica del prog: questo album di Battisti affronta il tema
dell'amore.
Come dichiarato dallo stesso Mogol:
“C'erano
due discorsi in contrapposizione: un discorso di amore, che era
rappresentato da tutti i brani per l'orchestra, e poi c'era un
discorso di non amore, che passa normalmente per amore e proprio da
questa contrapposizione stridente nasce questo long playing.”
L'album si divide
infatti in due parti che si mescolano fra di loro: le quattro
canzoni strutturate in modo classico ma poco tradizionali (“non
amore”), si alternano ai quattro brani strumentali (”amore”) che
sfruttano vari stilemi del prog, come ad esempio l'utilizzo di
un'orchestra d'archi che fa da base e contrappunto alla classica
strumentazione della rock band (chitarre, organo, basso e batteria).
Questi brani strumentali sono caratterizzati anche dalla lunghezza
dei titoli, usanza che in quegli anni andava per la maggiore, come
testimoniato anche dai film di Lina Wertmuller.
Mogol, che non se
l'era sentita di “rovinare” questi pezzi da lui ritenuti già
completi di per sé, limita il suo intervento alla scelta dei titoli,
che spaziano fra fatti di cronaca (come l'eterno conflitto in
medio-oriente), tematiche ambientaliste, elementi di alienazione
urbana.
I brani intendono
sottolineare questi aspetti, creando atmosfere che spaziano dal jazz
rock alla musica orchestrale, dall'ambient music all'atonalità,
fornendo, a chi li ascolta oggi, più di un elemento per
classificarli sotto la voce 'Progressive rock'.
Parlando invece delle
quattro canzoni, esse non sono per nulla convenzionali, come si
diceva prima, anzi si può dire che siano piuttosto dirompenti: i
testi, che raccontano di amori ben lontani dall'essere idilliaci,
sono molto distanti dagli stilemi delle canzoni d'amore di quegli
anni. Una di queste canzoni “Dio mio no” era stata
addirittura censurata dalla Rai, a causa di alcuni passaggi del
testo ritenuti troppo espliciti: si tratta della canzone forse più
interessante, oltre che quella di maggior successo, basata tutta su
un unico accordo (Mi 7) suonato dall'inizio alla fine dalla chitarra
acustica di Battisti, che si cimenta con il suo caratteristico
'strumming' già sperimentato in altre canzoni come 'Il tempo di
morire”.
La canzone, che dura
più di 7 minuti, si chiude con una lunga coda strumentale che
propone le improvvisazioni delle chitarre elettriche di Alberto
Radius (Formula 3) e Franco Mussida (PFM), dell'organo Hammond di
Dario Baldan Bembo e dei vocalizzi dello stesso Battisti.
Oltre a quelli appena
citati, ricordiamo gli altri tre musicisti della PFM che hanno
partecipato alle sessioni di registrazione: il tastierista Flavio
Premoli, il bassista Giorgio Piazza e il batterista Franz Di
Cioccio.
Non si può concludere
questo articolo senza citare la copertina, che come tutte le
copertine della tradizione prog, non è solo una bella confezione ma
racconta anche una storia: all'uscita di questo LP, anche la
copertina aveva suscitato scalpore e raccolto le critiche delle
persone perbene, con quella donna nuda, sullo sfondo, che da le
spalle al cantautore in abiti da clochard seduto sotto un albero,
mentre due cavalli pascolano sul grande prato.
Per l'immaginario
collettivo dell'epoca era una immagine davvero molto ardita e fuori
dagli schemi, come il contenuto di questo disco che vi esortiamo ad
ascoltare … o a riscoprire!
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