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TLKINGHEDS


 parte prima - Ricordi


Indice Articoli

 

1 – fischi per fiaschi

Ne ho già parlato, ma non mi ricordo in quale articolo. Abbiate pazienza.

Anni 1977/78, frequentavo un gruppo in cui ci si scambiava i dischi. ‘Cero’ mi passa “77” dei Talking Heads. Non mi piace. A quei tempi ero un universitario (in crisi) privo di indipendenza economica. I dischi dovevano essere comunque ‘posseduti’ e se non li si poteva comperare (LP, rigorosamente -dio li benedica- LP) almeno li si ‘doveva’ registrare, quindi si usavano le cassette (mitiche, le posseggo ancora tutte, più di 300). Anche queste avevano però un costo, sempre minore dell’LP perché in una cassetta potevi registrare due album. Il loro costo era in funzione della fedeltà di registrazione. Si andava dalle semplici fino a quelle al cromo.  Va da sé che il valore del disco da registrare era direttamente proporzionale al tipo di cassetta utilizzato. Addirittura per i dischi il cui gradimento era veramente basso utilizzavo i ‘ritagli’, ovvero gli spazi rimasti in fondo alle cassette in cui una registrazione non occupava tutti i 45 minuti.

Così feci per ‘77’.

Perfetto esempio di come sia facile prendere lucciole per lanterne, fischi per fiaschi, abbagli clamorosi, ecc ecc. Ma la buona musica, anche se all’inizio il suo ascolto ci può apparire ostico (ecco dove ne ho parlato) alla fine conquista chi ha voglia di ascoltarla e capirla. E, per farla breve, nel giro di poco tempo diventai un devoto fan dei Talking Heads, sia acquistando tutti i loro album che seguendoli (quando possibile) nei concerti in Italia .

 

2 – i concerti

Ho visto i Talking Heads dal vivo due volte. Due concerti memorabili ma in senso opposto.

 

La prima volta fu il 16 dicembre 1980 al palazzetto dello Sport di Bologna, in occasione del loro tour ‘The Name of This Band Is Talking Heads ’.

Ci andai,come spesso in quegli anni con il mio amico Enrico, che oltre ad essere un grande filosofo era un ottimo coltivatore (a Km zero!), sul suo terrazzo di piantine dalle foglie appuntite. Ne faceva buon uso e generosamente condivideva con me il frutto del suo appassionato lavoro quando eravano ai concerti.

In quegli anni i TH loro erano il mio gruppo preferito ed era da poco uscito l’album ‘Remain in Light’ in cui c’era “Once in a lifetime” che mi aveva letteralmente stregato.

In quel tour la band si esibiva in una formazione ampliata, che includeva Bernie Worrell alle tastiere, Buster Jones al basso, Steve Scales alle percussioni, la straordinaria Nona Hendrix come corista ma soprattutto il favoloso Adrian Belew alla chitarra.

Grande band con eccezionali artisti e quindi grande musica.

E quando nel concerto eseguirono una interminabile versione di “Once in a lifetime” ebbi  un’epifania, una intensa rivelazione spirituale, una incredibile comunione tra la mia mente e la musica. Non vorrei sembrare blasfemo o presuntuoso, ma è stata un’esperienza veramente intensa che purtroppo non ho più avuto modo di provare.

 

Da un concerto indimenticabile ad uno ..dimenticabile. Sono passati un paio d’anni e con l’amico Stefano (S.S. si, proprio lui) il 20 luglio 1982 andiamo a vedere i TH al Parco laghetto di Redecesio alle porte di Milano. Postaccio infame, infestato dalle zanzare, dove Frank Zappa nel suo concerto di pochi giorni prima aveva salutato l’audience dicendo: «Welcome to the mosquito’s heaven». Ma noi fummo fortunati, no zanzare, (vedrete il perché). Il concerto si preannunciava molto interessante visto che da spalla ai TH c’erano i Tom Tom Club, freschi di un notevole successo discografico.

Quando iniziano a suonare i Tom Tom Club improvvisamente all’ingresso scoppia il caos. Una decina di ‘autonomi’ vuole entrare senza pagare. Ne segue la dimostrazione del teorema che ‘la madre degli asini è sempre incinta’. E sorge il dubbio a chi assegnare il primo premio della stupidità. Agli ‘autonomi’ che vogliono entrare gratis o agli organizzatori che per pochi soldi rovinano il concerto agli altri migliaia di spettatori ?. Sta di fatto che le forze dell’ordine intervengono e tra una carica e l’altra sparano qualche tonnellata di gas lacrimogeni. La band essendo su di un palco continua a suonare (credo piuttosto perplessi), noi nel prato annaspiamo e tossiamo in mezzo ai gas. Di quel concerto non ricordo musicalmente niente, se non il bruciore agli occhi e alla gola. Ma è stato sicuramente un altro tassello nel mio allontanarmi da certi valori della gioventù, dai proclami del ’68 del tipo voglio tutto, lo voglio subito, lo voglio gratis.

E se guardo ai giorni nostri vedo che nulla è cambiato. Ma qui mi fermo, il terreno è politicamente minato.

 
Come detto inanzi al concerto ci andia con Stefano Sorrentino. Ecco quindi il suo ricordo.

Ho visto i Talking Heads, il 20 luglio 1982, al Parco Redecesio, a Segrate, alla periferia di Milano, una bella location usata episodicamente, proprio in quel periodo, per ospitare concerti che richiamavano molta folla (vi suonarono, fra gli altri, anche i Police e Frank Zappa). 

In effetti, al concerto dei Talking Heads, di gente ce n'era molta, forse anche troppa, e molti non erano riusciti ad entrare o forse non volevano pagare il biglietto. Fatto sta che poco dopo l'inizio del concerto, sono intervenute le forze dell'ordine per sedare i disordini che si stavano creando e hanno tentato di disperdere i facinorosi con il lancio di candelotti lacrimogeni, il cui effetto si è velocemente diffuso anche all'interno dell'area dove erano presenti gli spettatori paganti. 

E per la prima volta in vita mia, e spero anche l'ultima, ho avuto la disavventura di toccare con mano (anzi con gli occhi e il naso) l'effetto devastante dei gas lacrimogeni. 

Ho qualche ricordo della band che, facendo finta di niente, continuava ad esibirsi, forse per mantenere la folla tranquilla e non esacerbare ulteriormente gli animi. Anche se la situazione si è poi man mano normalizzata, inutile dire che il concerto per me e per tutti i presenti era inesorabilmente rovinato. E' stato un peccato perchè era il periodo d'oro della band: era uscito nel 1980 il loro capolavoro 'Remain in Light' ed erano sulla cresta dell'onda. Per me, che li adoravo ed adoravo quel disco, il concerto è stato una vera delusione ma non per colpa dei Talking Heads. 

L' immagine che mi è rimasta impressa è quella di David Byrne che continua a cantare, indomito, 'Once in a lifetime' (grandiosa canzone), fra i fumi dei lacrimogeni, metafora perfetta dell'artista che si pone al di sopra della violenza. “Letting the days go byWater flowing underground. Into the blue again”.

 


Autore : Giorgio Gotti & Stefano Sorrentino, Novembre 2025